Nuova speranza per i tumori provocati dall’amianto. Sono stati recentemente presentati a Chicago, all’Asco (American Society of Clinical Oncology), i risultati dello studio denominato IND.227 che vede in prima linea anche un Centro italiano. Lo studio internazionale di fase 3 ha valutato come nuovo trattamento di prima linea un farmaco immunoterapico, il pembrolizumab, da utilizzare in combinazione con la chemioterapia per i pazienti con mesotelioma pleurico avanzato o metastatico non operabile. Alla sperimentazione hanno partecipato pazienti che hanno lavorato per anni a stretto contatto con l’amianto e che si sono ammalati.

La partecipazione dell’Istituto Pascale di Napoli

IND.227 è uno studio accademico a livello mondiale condotto da 3 gruppi cooperativi: il Canadian Cancer Trials Group, il gruppo cooperativo italiano sui tumori toracici coordinato dall’Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli e l’Intergruppo cooperativo sui tumori toracici francese. Nello studio IND.227, l’aggiunta di pembrolizumab alla chemioterapia con platino e pemetrexed ha determinato un miglioramento significativo della sopravvivenza e del tasso di risposte obiettive dei pazienti con mesotelioma pleurico avanzato o metastatico non operabile. Nel tumore del polmone in stadio precoce, l’immunoterapia con questa nuova molecola, prima e dopo l’intervento chirurgico, migliora infatti la sopravvivenza e riduce del 42% il rischio di recidiva.

Tumori provocati dall’amianto, 440 pazienti allo studio, la metà sono italiani

Il mesotelioma pleurico è un tumore correlato all’esposizione all’amianto, e sebbene l’uso di questo materiale sia stato vietato in Italia ormai 30 anni fa, a causa del lungo periodo di latenza tra l’esposizione e l’insorgenza della malattia, l’incidenza del mesotelioma è ancora oggi in aumento. Purtroppo spesso questo tumore viene diagnosticato in stadio già avanzato e non operabile. Infatti, prima dei recenti risultati ottenuti con gli immunoterapici, la chemioterapia è stata per decenni l’unico trattamento disponibile, con risultati molto scarsi. La partecipazione a questo studio è stata quindi un’ottima opportunità per i pazienti italiani, come dimostrato dal fatto che lo sono circa metà dei 440 soggetti.